Oggi tutti noi siamo dietro ad uno schermo, lo siamo da più di due mesi. La stanza e lo schermo sono stati in questo periodo la nostra finestra sul mondo, sono stati i mezzi con cui abbiamo potuto imparare, lavorare, relazionarci con amici e parenti, con cui abbiamo potuto giocare o restare informati. Ognuno di noi ha inevitabilmente aumentato il tempo passato dietro a pc o smartphone e ha dovuto, chi più chi meno, rivalutare e rivedere la relazione con essi.
Vi propongo qui una riflessione congiunta con la mia collega Ventura Nicole con cui collaboro nel progetto "Sicurezza dei minori sul web" da ormai diversi anni.
Ci sono però delle realtà relazionali e sociali che già prima di questo lockdown hanno fatto dello schermo la loro finestra di vita e al contempo di ritiro dalla vita come tutti la intendiamo. Sono quelle persone, per lo più ragazzi, che per i più svariati motivi si sono allontanati pian piano dalle relazioni e dalla vita “reale” rifugiandosi invece in quella “digitale”.
Il ritiro sociale è un fenomeno sempre più studiato e sempre più attuale; alla base di questa “soluzione” ci possono essere diversi fattori sociali, psicologici, storici e relazionali. Una visione ampiamente condivisa nel panorama psicologico riguarda il calare questo fenomeno nella realtà storico-sociale in cui è emerso. Spesso infatti i ragazzi che accettano di intraprendere un percorso terapeutico riportano come alla base ci sia in loro una profonda angoscia e paura di non essere all’ altezza delle richieste esterne, di fallire e di non percepire una sicurezza nel futuro. Spesso sono ragazzi fragili, a volte vittime di bullismo, con risorse personali poco sostenute. Alcune volte sono ragazzi che si trovano incastrati tra un’idea molto elevata di ideale di sè e di come e cosa si dovrebbe fare e un’angoscia profonda di non farcela. Pian piano, quasi senza accorgersene, si crea in loro l’idea che effettivamente non riescono; non sono degni o in grado e che il mondo là fuori è troppo. Troppo richiedente, troppo veloce, troppo pauroso. Che il futuro fa paura, è incerto, minaccioso e impensabile. Pian piano trovano nel ritiro sociale l’unica via, l’unica soluzione per farcela. Succede così che talvolta repentinamente o in altre gradualmente, alcuni ragazzi si “tirano fuori” dalla propria vita: la chiudano fuori dalla porta. Si smette di uscire con gli amici, si abbandonano gli sport, la scuola fino a rinchiudersi totalmente in un proprio mondo, la propria stanza.
Il ritiro estremo è un fenomeno nato e studiato in primis in Giappone e i ragazzi che lo vivono vengono definiti Hikikomori. “Sono giovani che soffrono di un acuto isolamento sociale non derivato da altre malattie psichiatriche”. Hanno difficoltà comunicative e relazionali; tendono a evitare contatti anche con i propri genitori. Questa loro mancata socialità, li incastra in un circolo vizioso, dove non riescono a superare le difficoltà delle relazioni e della paura dell’altro.
L’unico modo per agganciare, e non sempre in modo così semplice, questi ragazzi è proprio attraverso i mezzi digitali, tramite le chat o i consulti online. La tanto oggi citata DAD è ad esempio l’unico modo che si è trovato nel tempo per poter garantire la scuola a questi ragazzi. Dietro lo schermo l’ansia sociale si abbassa, non si hanno gli sguardi puntati e c’è la percezione di quel distacco sicuro che permette in alcuni casi di “uscire” e stare in quella relazione. In questi mesi in cui la DAD è diventata una realtà nazionale, in alcune situazioni è stata la via per un’apertura in più. Alcuni ragazzi ritirati socialmente da tempo, si sono sentiti “più sicuri” e hanno accettato di seguire le lezioni non da soli ma insieme ai compagni, ritrovando così le vecchie amicizie e “inserendosi nuovamente” nel sociale.
In questo periodo di quarantena forzata, come ha affermato Matteo Lancini, uno dei maggiori esponenti in questo tema, “siamo tutti dei ritirati sociali”. Infatti siamo tutti stati costretti a permanere nelle nostre case, avendo poca o nessuna interazione sociale, e abbiamo vissuto sentimenti di disagio e solitudine, legati a questa condizione. Questo stop ha avvicinato in qualche modo i due mondi: chi prima era fuori ha avuto un arresto e ha dovuto farci i conti, chi era ritirato invece per certi versi ha sentito meno pressione perchè tutti in qualche modo stavano fermi.
In questi due mesi è come se il ritiro sociale si fosse normalizzato, come se il rallentare fosse qualcosa di legittimo. Ora, che tutto si sta invece ri-riorganizzando molti stanno sentendo una forte preoccupazione e ansia nel “tornare alla vita di prima” e questo può far pensare molto.
Nello specifico sono i ragazzi e gli adolescenti a vivere questo divario: da una parte la voglia di vedere gli amici, dall’altra la paura e l’angoscia di quella che sarà la “nuova normalità”. In una recente ricerca di “Giovani e Quarantena” promossa dall’Associazione Nazionale Di.Te. in collaborazione con il portale Skuola.net, si evidenzia come tra i giovani intervistati, i timori e le preoccupazioni siano legate alla difficoltà di immaginarsi un domani.
Come sottolinea Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e Presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te :”I ragazzi, in questo momento di isolamento, non hanno certezze, non riescono a sognare come sarà il loro domani”. Il rischio è quindi quello di avere giovani apatici, senza “spinta” e motivazione.
Come poterli aiutare?
Innanzitutto bisogna sostenerli e stargli vicino. Il ruolo dei genitori in questa fascia è molto importante anche se complicato, è un gioco continuo di equilibri. Come dice Beppe Severgnini: “durante l’adolescenza, per i ragazzi, i genitori sono come i mobili di casa: non ci si pensa sempre, ma è bene che non vengano spostati”. E’ quindi indispensabile che i genitori vengano percepiti come luogo sicuro in cui rifugiarsi quando il ragazzo ne avverte bisogno, come coloro che nonostante tutto ci sono e sono pronti ad aiutarli. Ogni ragazzo, ogni famiglia è però un mondo a sè stante, ognuno ha delle sue peculiari caratteristiche e modalità di vita. Tuttavia ci sono dei campanelli di allarme come delle modifiche importanti nel comportamento (es. forti scoppi di rabbia, chiusura sempre maggiore alla realtà esterna etc), sintomi di ansia e/o depressione (apatia, anedonia, mancanza di sonno o ipersonnia, mancanza di fame etc) che permangono nel tempo,potrebbe essere utile richiedere un parere psicologico per comprendere meglio cosa sta accadendo e trovare delle soluzioni al problema.
Dott.ssa Sedini Stefania
Dott.ssa Ventura Nicole
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