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Immagine del redattoreStefania Sedini

Docenti e web. Quando lo schermo diventa cattedra

Vi propongo una mia riflessione condivisa sul sito del progetto "Sicurezza dei minori sul web" dove io e i miei colleghi stiamo proponendo alcune riflessioni e pensieri su questo periodo e l'intreccio col digitale.


“Cosa vuol dire per me insegnare online?” Un possibile punto di partenza per le insegnanti che in questo periodo di sono ritrovate sbalzate fuori dalle cattedre e poste di fronte a uno schermo a fare didattica a distanza può essere proprio il domandarsi cosa significa per loro. Fermarsi un attimo e chiedersi: Chiedersi queste cose è importante perchè permette di dare un proprio senso alla cosa, di essere un po’ più consapevoli delle fatiche e delle risorse per affrontare una richiesta tanto improvvisa quanto necessaria. Può aiutare ad alleggerire un mandato molto particolare e di forte cambiamento rispetto al proprio lavoro storico, alla propria immagine di insegnante e anche alle aspettative su di sè e sui propri alunni. Può infine portare anche a vedere più chiaramente le potenzialità e i pericoli che questa modalità sta comportando sia da un punto  vista relazionale che legale.  In pochissimo tempo la scuola italiana ha dovuto fare un balzo nella tecnologia, ha dovuto interfacciarsi con la richiesta di trasformarsi.  “Si ma la prof non sa neanche accendere il pc” “Le maestre ancora non hanno fatto le videolezioni”  “Va beh io faccio andare ma basta fare così e così e gioco alla play mentre la prof parla”

Questi sono alcuni dei feedback di alunni di diverse età che danno però un primo assaggio di quanto, specialmente i primi tempi, le insegnanti hanno dovuto affrontare: il gap del digitale. Gli alunni d’oggi sono nativi digitali, a 2 anni avevano già  probabilmente in mano un tablet, per loro il digitale inteso come modalità per fare qualcosa insieme a qualcun altro (social, videogiochi online etc) è scontato. Non colgono però che per la maggior parte delle loro insegnanti  non lo è, specialmente se, oltre alla fatica del digitale, c’è anche la fatica di una burocrazia legale, di una tempistica ufficiale, di un programma da portare avanti, di una valutazione da garantire, di un         monte ore da fare, di un reinventare un modo di fare didattica e molto altro. Essere insegnanti ai tempi del Covid-19 insomma è ancora più complesso del solito.  Ogni scuola, ogni fascia d’età, ogni materia, ogni classe  ha inoltre delle sue caratteristiche peculiari che non reggono su un discorso generico. Fare DAD in prima elementare dove il bambino sta ancora imparando ad orientarsi nel mondo della scuola primaria non è la stessa cosa di farla in una classe quarta, lo stesso vale per le scuole di grado superiore. Nell’infanzia la questione è ancora più complessa e sfaccettata.Generalizzare una modalità di fare DAD quindi rischia di non poter cogliere le singolarità di ognuno, rischi e risorse, fatica e bellezza. Lo stesso vale per le singole classi all’interno di un contesto scolastico e ancor di più per i singoli alunni. 

Sono sempre di più nella scuola italiana gli alunni con una certificazione diagnostica che va dai DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), ai disturbi più comportamentali (es. ADHD, DOP etc.) a ritardi nello sviluppo (autismo, ritardi linguistici etc.) e questo scenario come nella scuola “reale” si è mantenuto anche in quella “virtuale” con non pochi ostacoli.  Però, c’è un però, nonostante tutta questa fatica, questi ostacoli, ci sono svariati aspetti di creatività e di crescita che danno a questa DAD un sapore buono, un sapore di qualcosa che forse alla scuola serviva.  Alcune insegnanti si sono trasformate, hanno veramente messo in gioco loro stesse per reinventarsi e per uscire da degli schemi storici, forse comodi per un certo verso, dello stare dietro alla cattedra. Hanno fatto video, mandato messaggi, hanno ribaltato una concezione classica di didattica. Alcuni insegnanti hanno visto dei grandissimi cambiamenti negli alunni e hanno colto la possibilità di un rapporto più breve ma maggiormente personalizzato di didattica che ha permesso anche di nutrire un legame personale e affettivo con l’alunno. Alcune classi si sono paradossalmente unite nello stare lontane, sono riuscite a sentire quei legami come qualcosa di importante che va nutrito.  Nessuno sa come sarà la ripresa della scuola ma un augurio credo che sia quello di poter prendere la generatività che la DAD ha portato con sè e riuscire a trasformarla anche nella “scuola classica”.

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